Ormai non c’è più pace e sicurezza. In nessun luogo del mondo. Il terrorismo sembra avanzare, ma in modo più preoccupante sembra non cambiare l’atteggiamento di chi invece dovrebbe proteggerci. Ieri 17 agosto 2017 un furgoncino si è scagliato contro la folla nella Rambla, a Barcellona, una via molto battuta da turisti e spagnoli. Una via libera, aperta, aperta al traffico automobilistico soprattutto.

Non sono bastati i cosiddetti precedenti a far prendere misure di sicurezza atte a impedire a un furgone di raggiungere dei pedoni. E quindi? Niente 14 morti e un centinaio di feriti. Perché? I motivi sono tanti, ma la rabbia di una persona, una donna, una mamma, una cittadina del mondo è constatare ancora una volta che non si sono messi in sicurezza i punti definiti sensibili ad eventuali attacchi terroristici.
Sono ore in cui le televisioni e il web sono invasi da fiumi di parole, le stesse che dopo un attentato si ripetono: siamo vicini alle famiglie delle vittime, il nostro cordoglio, il terrorismo non vincerà. Eppure a me sembra il contrario, perché ancora una volta loro, i terroristi, sono riusciti ad ammazzare senza scrupolo persone innocenti, ma in una via centrale di una delle città europee più ricche di turismo al mondo. E ora si dice che in Spagna sapevamo che potesse avvenire un attentato, ma anche questo è un “proclama” che si è sentito per Londra, Madrid, Parigi… Lo diremo anche noi in Italia? Quante volte lo diremo ancora?

Certo non possiamo smettere di vivere per la paura di un attacco terroristico, ma è senza dubbio certissimo pretendere dai nostri Governi più sicurezza nelle nostre città, più controlli, se necessario chiusura delle frontiere, se necessario, e non pensiate che sia un manifesto razzista, il rimpatrio di tutti i potenziali soggetti considerati pericolosi per le nostre vite, le nostre famiglie.
Che sia uno o migliaia, non esiste concepire, giustificare o attendere un’altra tragedia. Chi, come me continua ad avere paura e ad averne sempre più, si chiede cosa accadrà e in che entità. E’ come stare in fila in attesa di un treno che non sappiamo in quale stazione ci farà scendere.
I pensieri, gli insulti e le paure non sono utili a farci sentire più sicuri. Ma noi, persone normali, noi vittime del terrorismo, moralmente o fisicamente purtroppo in qualche caso, non possiamo difenderci, non abbiamo guardie del corpo, né viaggiamo in auto blindate. Noi siamo coloro che prendono i mezzi tutti i giorni per andare a lavoro o a fare la spesa, siamo genitori, siamo pendolari. Io più di tutto mi sento indifesa. Si, indifesa. Perché vivo la mia città e la sento vulnerabile. Cosa accadrà ora? Vedremo. Certo non possiamo trasformare i centri urbani in fortini, ma renderle più inattaccabili si può. Perché se riuscite a individuare potenziali pericoli allora dovete essere in grado di difenderci. Non possiamo solo essere vittime, noi dobbiamo essere forti, più forti di poche centinaia di pazzi che ultimamente uccidono e scappano, neanche si ammazzano più. A codardia si aggiunge codardia.

Come si fa a pensare di scrivere altro in una giornata così? Io non riesco, non sono in vendita, come non lo è il canale attraverso cui scelgo in modo libero di veicolare ciò che io e chi lavora con me pensiamo di farvi sapere. Oggi è il giorno dello sfogo, della rabbia, della paura. Non diventeremo più forti o deboli urlando ciò che sentiamo realmente. Che effetto fa sapere che in un luogo in cui sei stato è stato oggetto di un attentato? Francamente non so rispondere, perché non ero li nel momento più brutto. Cosa può accadere in una sera d’estate in un locale turco? Nulla, a me non è successo nulla. Ma in quello stesso locale la notte di Capodanno 2016 molti giovani sono morti trucidati da bestie travestite da assassini.

Quello che mi auguro come tutti voi è che non accada più, ma sappiamo altrettanto bene che questo più che un auspicio è un’utopia. Realista, pessimista o preoccupata? Tutto e di più. Ho solo la nausea nel vedere omini in giacca e cravatta che applaudono e chiedono un minuto di silenzio, mentre ci sono 14 persone in una camera mortuaria. Dov’è la differenza? A voi la risposta.

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