Al Teatro Manzoni Ambra Angiolini recita i suoi Tradimenti
Titolo civetta, con una grande protagonista. Tre vite mescolate in un contorto rapporto fatto di inganni e apatia. Moda e Style non si è sentita tradita dall’opera Tradimenti, in scena al Teatro Manzoni fino al 29 gennaio 2017. Protagonisti Ambra Angiolini, Francesco Scianna e Francesco Biscione, diretti da Michele Placido.
Dotata di una grande forza attrattiva l’opera Tradimenti di Harold Pinter, riadattata da Alessandra Serra, ha letteralmente affascinato Moda e Style. Tre protagonisti. La storia ha inizio nel 1977 per fare un passo indietro, al 1968, a quello che è il principio di tutto. Emma (Ambra Angiolini) è moglie di Robert (Francesco Biscione) e Jerry, il miglior amico di Robert (Francesco Scianna), l’amante di Emma. Abbiamo aspettato con ansia la conclusione, non perché lo spettacolo fosse un polpettone da mandar giù velocemente, bensì avevamo voglia di capire se i personaggi fossero dotati di una personalità, curiose di scoprire quella scintilla primordiale da cui è scaturito il famoso “ménage à trois“, desiderose di riscattare le loro figure mediocri, prive di sostanza e vaganti senza meta, nel turbinio del mondo. Esistenze portate avanti come un diagramma piatto, nonostante Emma attraverso il tradimento perpetrato insieme a Jerry, cerchi di dare una sferzata alla sua vita, fallendo miseramente.
Perché il tradimento non è uno strappo, un morso alla vita ma, solamente un mezzo non efficace per uscire dalla noia, qualcosa per dare adito agli altri di parlare, di far nascere quell’interesse mancante verso la propria persona. Non esiste un lavoro interiore da parte dei protagonisti, nessuna riflessione profonda sui propri desideri, bisogni e sogni. Il loro è un viaggio sul binario della superficialità, i sentimenti rimangono sospesi in una bolla.
Forse la figura femminile di Emma è quella che sente maggiormente la necessità di gridare alla rivoluzione nella propria vita, di approdare al suo”io”, alla sua identità in un porto sicuro, di calare gli ormeggi. Purtroppo il suo tentativo rimane vano, non arrivano le risposte concrete e desiderate dai due personaggi maschili, per il quali il tradimento non suscita nessuna emozione.
Così quando Robert viene messo al corrente del tradimento compiuto dalla consorte, i toni rimangono pacati, non si accende nulla, non tanto perché anche lui è fedigrafo, ma perché si sceglie di proseguire su un binario di falsità, conservare quell’amicizia con Jerry, priva dei valori primi, piuttosto che rimettersi in gioco, ricostruire una vita fatta di sani principi dove le persone che lo circondano sanno dare con onestà tutte se stesse. E, invece, continua a sobillare l’amico con le sue richieste di una partita a “squash” per mantenere in forma un fisico, tonico e asciutto, ma al cui interno l’anima e la coscienza si stanno logorando inesorabilmente in una decadenza spirituale senza confini. E’ tutto un inganno, anche quelle colazioni, che condivide con l’amico, condotte con argomenti sterili.
Niente conta veramente all’interno della narrazione, persino l’appartamento preso in affitto da Jerry e Emma per i loro incontri, nonostante sia fatto di solide mura. Nel corso del tempo si smaterializza, evapora, perché poco sfruttato, manager di una galleria d’arte lei e agente letterario lui, così come Robert, tanto presi dalle loro esistenze fatte di matrimonio e figli. Poco è il tempo che possono dedicare all’altro, una relazione extraconiugale che dovrebbe essere fatta di libertà e priva di limiti ma, che non può essere ben coltivata, sfuma piuttosto in un ritorno alla triste normalità, senza drammi e, senza scene dove gli animi si scaldino, una fiamma non fiamma, dai toni freddi, sempre sull’orlo di spegnersi.
Infatti calandoci nel 1977, in quello che è l’input da dove si dipana la prosa che poi è la fine, non solo dell’opera, ma delle vite dei protagonisti condotte miseramente, con un’aridità senza pari, ritroviamo Emma con Casey, talento letterario pubblicato da Robert e scoperto da Jerry, peraltro da lei mai veramente apprezzato blog link. L’ex amante si dispera senza convinzione, senza pathos, perché viene a sapere da Emma che Robert sapeva già da diversi anni della loro tresca, senza che gliene avesse mai fatto parola. Niente ha senso se non il fatto di esser tenuti fuori dalle vite dell’altro, di esser stati emarginati, perché ognuno di loro vive, o crede di vivere, attraverso la relazione impostata con l’amico o l’amante. Ciò che rimane all’oscuro è un altro inganno, rimanere indietro nella corsa per accapararsi un posto finto su quel podio che non esiste, scioccamente idolatrato e fatto solo per apparire. La stupidità di credersi in cima a quell’Olimpo di vanità dove chi risiede crede di essere onnipresente, di sapere tutto di tutti. Anche la memoria degli inizi di una relazione extraconiugale che dovrebbe rimanere vivida e fervida nella mente di Jerry e Emma si perde con il passare del tempo a testimonianza di quel buco nero che ha preso sempre più spazio nel loro rapporto e che li mangia e consuma ferocemente, senza che loro se ne possano rendere conto.
Moda e Style ha vissuto una sorta di catarsi, pensando all’atmosfera di uno dei film di Woody Allen e si è addentrata in quella nebbia quasi fisica, dove niente è certo e le conclusioni toccano a te spettatore che diventi più che mai partecipe della pellicola o dell’opera teatrale, è tuo compito dare corpo a quei punti di domanda, mettere in discussione tutto, cercare di capire se c’è altro, oltre a quello che si è visto o, perlomeno, evitare di rendere la propria vita una vetrina dove gli attori sono manichini inermi e manovrati da qualcuno che ti guarda con aria beffarda e fa di te ciò che vuole, senza che tu te ne accorga. Privati del nostro ruolo e non perché incapaci di intendere e di volere, ma perché ci lasciamo sfilare passivamente la nostra esistenza, quanto risulta amara questa conclusione, dove tutto decade e i corpi si svuotano.
Moda e Style, positiva come sempre, ha recuperato attraverso lo sviluppo della storia, più messaggi: grande è la nostra volontà di stare alla larga da esistenze come quelle dei nostri personaggi, meschine perché vuote, sole… L’affermazione del nostro io parte da noi stessi, artefici della nostra vita e non si avvale delle incursioni degli altri. Avere dei principi che siano fortemente ancorati dentro e che non vengano spazzati via dalla prima mareggiata che arriva. Essere responsabili delle proprie azioni, prenderne atto e non viverle come se mai accadute. La vita è reale, è bello che esistano i sogni, ma si deve essere concreti e determinati per realizzarli, lasciare tutto al caso non aiuta, siamo fatti anche di sbagli, ma poniamoci delle domande, affanniamoci per trovare delle risposte. Cerchiamo di reagire là dove possiamo e di pestare i piedi ogni tanto, facciamo sentire la nostra voce, ergiamo dal coro composto da quelli che ci accompagnano nel canto della nostra vita, costruiamo una solida forma dello spirito, perché è ciò che rimane per sempre, nonostante l’incedere del tempo tiranno. Facciamoci conoscere agli altri con i nostri pregi e difetti, non nascondiamo la testa sotto la sabbia, perché rischiamo di sprofondare completamente, di rimanerne invischiati. Urliamo davanti a ciò che non ci piace, proviamo perlomeno a far rumore dinnanzi agli altri anche se non sanno ascoltare. Lasciamo un segno per quanto piccolo esso sia.